Frattura della seconda vertebra cervicale stabilizzata con vite singola.

 

Caso clinico presentato dal dott. Desogus

Un uomo di 70 anni giunge al nostro Pronto Soccorso in seguito ad un incidente stradale nel quale aveva riportato un trauma  cervicale indiretto da iperflessione. All’arrivo il paziente riferisce esclusivamente un dolore cervicale alto, riferito posteriormente. L’esame neurologico da esito negativo.

Il primo studio Rx del rachide cervicale (fig. 1) in proiezione laterale ed antero-posteriore mette in evidenza una frattura della seconda vertebra cervicale a carico del cosiddetto processo odontoideo o dente dell’epistrofeo.

 

Figura 1 Rx rachide cervicale, proiezione laterale: la freccia rossa indica la rima di frattura a carico della base del dente di C2

 

Dopo un approfondimento diagnostico con l’esecuzione di una Tc spirale, che conferma la diagnosi (fig. 2), il paziente viene ricoverato presso la nostra Clinica pe essere sottoposto ad intervento chirurgico di stabilizzazione del dente dell’epistrofeo. Viene posizionato un collare Philadelphia per immobilizzare la colonna cervicale, instabile nel suo tratto alto a causa della suddetta frattura.

Figura 2. Tc spirale C1-C3, ricostruzione sul piano sagittale: questo esame evidenzia in maniera più accurata il tratto cervicale alto rispetto alla radiografia standard

 

Due giorni dopo il paziente viene sottoposto ad intervento chirurgico di stabilizzazione del dente con vite singola. Tale intervento consiste nel posizionamento di una vite lungo l’asse maggiore del dente allo scopo di stabilizzarlo (fig. 3)

Figura 3. Come si nota la vite è filettata solo nella parte distale. Questo permette il richiamo del frammento superiore del dente

 

Questo può essere ottenuto attraverso una minima modifica del classico approccio anteriore alla colonna cervicale ed uno strumentario dedicato. Il controllo Rx post-operatorio testimonia il buon posizionamento del sistema di stabilizzazione (fig.4)

Figura 4. Rx rachide cervicale post-operatoria, proiezione laterale.     

 

Il giorno dopo l’intervento il paziente è in grado di dembulare. In quinta giornata post-operatoria il paziente viene dimesso.

 

Discussione

 

Le fratture a carico del dente dell’epistrofeo costituiscono circa il 15% delle fratture del rachide cervicale, essendo peraltro le fratture più frequenti a carico di questa vertebra. Questa infatti, rispetto alle altre, ha una costituzione particolare. Essa infatti presenta un processo cosiddetto odontoideo o dente (fig. 5) attraverso il quale C2 si articola con C1 anche sul piano coronale, oltre che su quello assiale con le faccette articolari, permettendo i movimenti di rotazione.

Figura 5. Lo schema illustra l’anatomia delle prime due vertebre cervicali e la loro particolare articolazione sul piano coronale

 

Questo determina circa il 50% della rotazione del capo, la restante parte è a carico del rachide cervicale basso (C3-C7). Il dente è esposto alla frattura fondamentalmente per movimenti di iperflessione.

Le fratture a carico del dente sono state classificate nel 1974 da Anderson e D’Alonzo in 3 tipi (fig. 6) ed ancora oggi questa classificazione  viene internazionalmente riconosciuta ed utilizzata anche i fini del trattamento.

Figura 6.      Tipo I: frattura dell’apice del dente

                    Tipo II: frattura della base del dente

                    Tipo III: frattura del corpo di C2   

 

Mentre le rare fratture di tipo I non determinano instabilità del complesso C1-C2, le tipo II e III sono per definizione instabili. Al tipo II è stato poi aggiunto il IIa quando la frattura sia comminuta.

Il trattammento di queste ultime resta tuttora controverso ed appare condizionato da vari fattori:

 

-         il tipo di frattura

-         l’entità della dislocazione del frammenti

-         l’età del paziente e le sue condizioni cliniche generali

 

In particolare nel trattamento conservativo delle fratture di tipo II la percentuale di pseudoartrosi (mancata unione dei frammenti fratturati) nelle fratture con dislocazione superiore ai 6 mm (ca. 70%) risulta notevolmente maggiore rispetto ai casi con dislocazione inferiore ai 6 mm (ca. 10%). Questo suggerisce fortemente l’opzione chirurgica.

 

La chirurgia di questo tratto di rachide è sicuramente, all’interno delle chirurgia vertebrale, una delle più delicate e, contemporaneamente, affascinante. Negli anni l’evoluzione delle tecniche e degli strumentari ha consentito lo sviluppo di metodiche che permettono interventi chirurgici particolarmente efficaci e risolutivi. In assenza di questi infatti, non restava altro che un atteggiamento conservativo anche nei confronti di fratture altamente instabili.

Negli ultimi anni in particolare ha acquisito sempre maggior popolarità fra i neurochirurghi di tutto il mondo la pratica della stabilizzazione del dente con vite singola nei casi di fratture di tipo II. Questo tipo di trattamento consente, come si evince dal caso illustrato, una stabilizzazione immediata della vertebra fratturata, la mobilizzazione precoce del paziente (spesso si tratta di pazienti anziani) e, in una buona percentuale di casi, la conservazione della funzione di C2 per quanto riguarda la rotazione del capo. Esso inoltre è gravato di percentuali minime di complicanze.