IL TRATTAMENTO DELLA NEVRALGIA TRIGEMINALE ESSENZIALE |
dott. Gastone Pansini
La nevralgia trigeminale essenziale è
una affezione dolorosa delle branche periferiche del nervo trigemino, la cui
eziologia rimane incerta. Tale patologia è stata descritta per la prima volta
come specifica entità clinica nel 1756.
Dall’analisi delle casistiche più
rappresentative presenti in letteratura si è rilevata una maggiore incidenza a
carico del sesso femminile (58%) e nella VI-VII decade d’età. In 2/3 dei casi
il dolore interessa l’emivolto destro mentre è rara la diffusione bilaterale
del disturbo. Le singole branche trigeminali più colpite sono la II e la III.
Più frequente è l’interessamento simultaneo della II e III branca.
Tra gli aspetti clinici peculiari
della malattia bisogna ricordare che il dolore è parossistico, in pratica della
durata di pochi secondi fino a pochi minuti ed è abitualmente di estrema
intensità, descritto dai pazienti come “folgorante” o a “scarica elettrica” o a
“colpo di pugnale”. Nei periodi intercritici il paziente non lamenta dolore ma
in certe forme atipiche può essere presente una lieve e sorda dolenzia di base.
Il dolore è solitamente monolaterale per ogni singolo attacco e non supera i
confini del territorio trigeminale né la linea mediana. Gli attacchi si presentano
in modo spontaneo o provocati da stimoli aspecifici come stimoli termici o
dalla stimolazione di zone sensibili della faccia. Quest’ultime prendono il
nome di zone trigger. Per la prima branca la zone trigger risiede a livello
dell’estremo mediale del sopracciglio, per la seconda branca a livello della
base della pinna nasale (solco naso-genieno) e per la terza branca a livello
del labbro inferiore e del mento. Gli attacchi non compaiono quasi mai durante
il sonno. All’esame neurologico solitamente non si rilevano grossolani deficit
sensitivi ma con tecniche più specifiche come l’algometria termica o elettrica
si possono documentare aree di ipoestesia e iperalgesia. Le remissioni
spontanee possono durare settimane, mesi o anni, di solito con il passare del
tempo, gli intervalli diventano sempre più corti e le recidive più gravi e
prolungate nel tempo.
I meccanismi etiologici sono in gran
parte oscuri, tuttavia esiste una linea di pensiero unanime tra gli studiosi
che individua in fenomeni riflessi afferenti (di origine centrale dal tronco
encefalico o più periferica) la base causale di questa patologia. Accanto a
ipotesi di origine “centrale” del dolore (List e Williams) intesa come riflesso
patologico, Jannetta attribuisce particolare importanza al sistema vascolare
della fossa cranica posteriore individuando una sindrome da conflitto. Si
tratta di un conflitto neurovascolare per compressione sulle radici sensitive
del trigemino da parte di anse (loop) delle arterie cerebellari, allungate per
processi arteriosclerotici o per anomalie congenite. Tale condizione si ritrova
nella stragrande maggioranza dei pazienti. Il vaso maggiormente implicato è
l’arteria cerebellare superiore (nevralgia della II e III branca) o, più
raramente, della cerebellare antero-inferiore (nevralgia della I branca).
Il trattamento della nevralgia
trigeminale può essere farmacologico (carbamazepina a dosi crescenti 100-800mg
pro die) o chirurgico quando il trattamento farmacologico non dà esito positivo
di lunga durata sulla sintomatologia nevralgica oppure produce effetti
indesiderati come sonnolenza, leucopenia, intolleranza gastrica.
Le opzioni chirurgiche oggi
disponibili e largamente accettate sono principalmente due:
·
Microcompressione
percutanea del ganglio di Gasser
·
Decompressione
neurovascolare microchirurgica
La microcompressione percutanea transovale è una tecnica eseguita, in genere, a paziente sedato e non in anestesia generale e consistente nella compressione meccanica del ganglio di Gasser mediante un catetere a palloncino di Fogarty (set di Mullan) (Figura 1).
Figura 1 Set di Mullan |
La tecnica prevede l’introduzione di un ago cannulato lungo la via di Härtel fino a pungere la cisterna del ganglio di Gasser attraverso il foro ovale della base del cranio (cavo di Meckel), sotto controllo fluoroscopico. (Figure 2 e 3)
Figura 2 Posizione operatoria del paziente con apparecchio per radiografia intraoperatoria |
Figura 3 Evidente la fuoriuscita di liquor dopo la puntura della cisterna del ganglio di Gasser |
Successivamente si introduce il catetere attraverso l’ago precedentemente inserito nella cisterna e si gonfia il palloncino, situato nella sua punta, con 1 cc di soluzione contrastografica al fine di visualizzare in scopia l’ottimale riempimento del palloncino e in modo da esercitare una microcompressione sul ganglio per 1-2 minuti (Figura 4).
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Figura 4: radiografia intraoperatoria: ben visibile il catetere con palloncino distale gonfiato in fase di compressione. |
La percentuale immediata di successo della tecnica è variabile tra l’80 ed il 90% ma sono possibili recidive nel tempo; la tecnica è comunque ripetibile data la sua scarsa invasività. Essa è indicata nei pazienti anziani con gravi malattie di base ed ha l’indubbio vantaggio di essere una tecnica mini-invasiva (Figura 5) e di non essere gravata da complicanze ed effetti collaterali importanti (residua in genere solitamente una ipoestesia della branca interessata). Il suo maggior limite è che l’iniziale alta incidenza di successo, si riduce significativamente nel tempo.
Figura 5 Termine della procedura |
La decompressione neurovascolare è invece, una tecnica chirurgica più invasiva introdotta da Jannetta e Rand (1966-1967). Si tratta di un approccio chirurgico alla fossa cranica posteriore, così da raggiungere e individuare il loop dell’arteria cerebellare che è la responsabile dell’irritamento cronico a carico della radice trigeminale (Figura 6).
Figura 6: campo chirurgico al microscopio operatorio: la freccia verde indica la arteria cerebellare postero-inferiore, la freccia rossa la radice trigeminale e la freccia blu il conflitto neurovascolare. |
Con graduale liberazione delle
aderenze aracnoidee, interrompendo così il conflitto neuro-vascolare (Figura
7), si procede alla completa liberazione della radice trigeminale interponendo
tra questa e la struttura vascolare un piccolo cuscino di sostanza
ammortizzante (Figura 8). Il suo maggior vantaggio in termini di risultati è
quello di abolire il dolore in una altissima percentuale di casi, eliminando la
causa presunta della nevralgia trigeminale senza alcun effetto collaterale. Si
tratta tuttavia di un intervento chirurgico “formale”, non scevro dunque da
rischi operatori, sebbene minimi, specie in pazienti anziani ed in condizioni
generali non ottimali. Infatti, le principali indicazioni all’intervento
riguardano pazienti non oltre i 70 anni, in buone condizioni cliniche generali
e refrattari o intolleranti al trattamento medico. I risultati favorevoli sono
oltre il 90% e rimangono stabili nel tempo.
Figura 7: campo chirurgico al microscopio operatorio: la freccia indica la risoluzione del conflitto neurovascolare. |
Figura 8: campo chirurgico al microscopio operatorio: tra arteria cerebellare e radice trigeminale viene interposto un cuscino di sostanza ammortizzante. (asterisco) |